La spiazzante serie televisiva “senza immagini” su Apple Tv+ apre scenari inediti per il formato della serialità televisiva.
Drriiinnnn… si apre una telefonata, ha inizio una trama.
Che verrà portata avanti per circa un quarto d’ora/18 minuti (la serie dura 180’ complessivi distribuiti su 8 episodi) solo attraverso i dialoghi al telefono dei protagonisti. Una serie che scorre sul filo dell’alta tensione e dello spiazzamento spazio-temporale, perché le storie – autoconclusive ma in qualche modo occultamente collegate fra loro, si scoprirà seguendole – sono una specie di Ai confini della realtà in formato radiodramma.
Qui sotto vedete il trailer ufficiale.
Parliamo di Calls, la nuova, avanguardistica serie televisiva creata per Apple TV+ dal regista Fede Álvarez (autore del remake de La casa, dell’efficace Man in the Dark e del sequel Millennium – Quello che non uccide, oltre che della serializzazione di Dal tramonto all’alba – La serie del film di Tarantino/Rodriguez) e basata sull’omonima serie televisiva francese creata da Timothée Hochet. La serie made in USA, una co-produzione internazionale tra Apple TV+ e Canal+, ha debuttato lo scorso 19 marzo.
Facendo assai parlare di sé per l’incredibile format, basato appunto esclusivamente sulle conversazioni telefoniche degli attori, un cast corale di voci note e in ascesa come Aubrey Plaza, Aaron Taylor-Johnson, Lily Collins, ma anche Rosario Dawson, Nick Jonas, Karen Gillian, Jaeden Martell, Stephen Lang, Riley Keough, Mark Duplass, Paul Hauser e Pedro Pascal.
Attori di cui però non vedremo mai un volto, un movimento, né una sola inquadratura: lo schermo è infatti occupato esclusivamente da una serie di grafismi astratti che rappresentano le onde elettromagnetiche della connessione telefonica e che tirano simbolici fili di collegamento fra i due personaggi che dialogano in ogni momento del plot: infatti in ciascun episodio s’intrecciano più telefonate fra diversi personaggi collegati fra loro in un’incredibile vicenda, in cui accadono fatti terribili e inesplicabili.
Situazioni che hanno parecchio a che vedere con il concetto di multiverso, di fisica quantistica e dimensioni parallele, perché talvolta le telefonate si svolgono fra due personaggi che vivono in tempi diversi, oppure uno dei quali vive un tempo rallentato rispetto al resto del suo universo di riferimento, oppure provengono dal futuro o dal passato.
Opporsi a questi slittamenti dimensionali rischia di sovvertire il corso dell’universo stesso, il quale s’impegna a ristabilire l’ordine prefissato senza lesinare sulle conseguenze per gli sfortunati personaggi “trasgressori”: un impianto molto intrigante, che oltre agli storici paradossi della serie di Rod Serling rimanda implicitamente anche a Black Mirror, l’assai più recente e fortunatissima serie sci-fi inglese prodotta da Charlie Brooker per Endemol, in quanto anch’essa una serie antologica, ossia formata da episodi autoconclusivi (“verticali”, come dicono gli esperti).
Un format che attualmente pareva un po’ in declino rispetto al passato (La Signora In Giallo, Il Tenente Colombo o Starsky e Hutch appartengono a questa categoria: i personaggi sono fedeli a se stessi, ogniepisodio è una nuova vicenda all’interno di un modello consolidato), come ci ha spiegato il produttore Franco Bocca Gelsi (già intervistato da LiquidSky), il quale ci fa notare che da Lost in poi le serie di successo (da True Detective a Breaking Bad o Handmaid’s Tale fino a Mandalorian, per dire) sono tutte “orizzontali”: ossia si sviluppano nel corso di un certo arco temporale, all’interno del quale i personaggi evolvono e possono anche cambiare (ad es., un iniziale “buono” può rivelarsi all’improvviso un “cattivo” come viceversa, mentre i personaggi verticali sono cristallizzati come i caratteri dei fumetti seriali).
Certo, la scelta di negare allo spettatore quasi ogni supporto visivo implica la necessità di uno sviluppo della trama in tempi concisi, oltre che – ammettiamolo da scrittori – di una grande abilità nella scrittura dei dialoghi, perché tutta la trama, l’empatia per i protagonisti senza volto che essa saprà innescare nel pubblico e quindi il crescendo di suspense che quest’ultimo sentirà crescere per gli eventi paradossali che vi accadono, tutto poggia solo su di loro. Caratteri dei protagonisti, loro interazioni, back story, tutto è sulle spalle dei dialoghi telefonici.
Un format che porta all’estremo l’idea sviluppata dal regista Steven Wright in un lungometraggio del 2013, intitolato Locke (dal nome del protagonista, Tom Hardy), che si svolgeva interamente nella Bmw dello sfortunato Ivan Locke che, nel corso di una drammatica serata trascorsa in auto, riceve telefonicamente un colpo dopo l’altro.
Qui sotto vedete anche il trailer del film.
Noi abbiamo scelto di segnalarvi questo singolare prodotto televisivo perché ovviamente il suo successo potrebbe aprire scenari assai promettenti per produzioni molto originali, anche se a bassissimi costi di produzione, cioè proprio il problema che da sempre viene sbandierato dai produttori italiani per giustificare il fatto che – siccome per citare Vasco “non siamo mica gli americani” – una serie di generi ritenuti ipso facto “costosi” (come appunto fantascienza, fantasy e horror) dalle nostre parti siano considerati impraticabili in partenza.
Invece, non solo qui l’acume della scrittura dimostra di riuscire a superare la sfida più ardua per un prodotto (tele)visivo per l’appunto, ma – considerando che sempre più frequentemente ormai la fruizione delle serie televisive non passa più attraverso il classico schermo televisivo (sempre più ampio e ad alta definizione), ma attraverso una molteplicità di display diversi e ridotti (computer portatili, tablet quando non addirittura smartphone), un formato fruibile anche a bassissima risoluzione d’immagine su tempi veloci e concisi potrebbe rivelarsi un esperimento vincente sulla fascia di pubblico più giovane e aperta alle novità.
Purtroppo al momento non abbiamo ancora alcuna anticipazione su possibili nuove stagioni di questa serie ma… forse una nuova era “microtelevisiva” è alle porte?
Mario G