Intervista con Ernesto Assante di Repubblica sul difficile scenario dei quotidiani al tempo del virus e l’evoluzione dell’equilibrio fra carta stampata e web.
Dopo il quadro sulla débacle degli investimenti pubblicitari durante l’emergenza epidemica (La pubblicità “ammalata”), andiamo a focalizzare l’analisi sui principali settori del sistema mediatico che quel quadro fotografa. Dopo il cinema (Il “dramma sul video”) osserviamo l’editoria: un recente articolo del supplemento Robinson di Repubblica segnalava il drammatico crollo delle vendite di libri nel periodo dell’epidemia.
Come abbiamo già scritto, è evidente anche il calo di fatturato da investimenti pubblicitari dei giornali: secondo i dati FCP riportati dalla newsletter Ideeideas, siamo a -19,1% per l’intero comparto, -17,7% per quanto riguarda il fatturato dei soli quotidiani. Ne parliamo con Ernesto Assante, firma storica di Repubblica e pioniere del web in Italia.
Caporedattore, poi inviato di Repubblica Spettacoli, critico musicale, autore e coautore di una miriade di libri sulla musica (tra cui FantaRock e in narrativa S.O.S.), programmi radio e tv, ma anche per un periodo direttore generale dell’internet provider McLink, cofondatore del portale Kataweb e di Repubblica.it, oltre che dei supplementi cartacei di Repubblica Musica!, Computer Valley e Internet & Altro; ma anche collaboratore dell’Enciclopedia Treccani e docente alla Sapienza di Roma: questo è un (succinto) compendio del “multiforme ingegno” di Ernesto Assante, che proprio per questa inesausta curiosità di sperimentare tutte le potenzialità e le innovazioni del digitale e del multimediale, accanto a una solida esperienza come giornalista cartaceo, ci è sembrato la figura ideale per gettare uno sguardo sull’attuale situazione dell’editoria d’informazione e sui tumultuosi equilibri in cui quella storica cartacea si bilancia coll’avanzata inarrestabile del web.
Assodato che negli ultimi due mesi la pubblicità è crollata, gli abbiamo quindi chiesto anzitutto come sono andate invece le vendite dei quotidiani al pubblico, visto che sappiamo che le televisioni hanno assistito a un incremento di audience.
“C’è stato un calo anche nelle vendite dei quotidiani in edicola, certo. Ma è un calo che va visto in parallelo colla corrispondente riduzione nelle edicole disponibili per acquistarli: come sapete, il numero di edicole sul territorio è in costante contrazione, anche prima dell’epidemia (come riporta Adnkronos, ne chiudono circa due al giorno, NdR). Con il lockdown, per gli acquirenti è diventato ancor più difficile trovarne una aperta vicina a casa, mentre fino a qualche anno fa era una certezza scontata. La dimostrazione di questo fatto la riceviamo per converso: nelle aree geografiche in cui c’era un maggior numero di edicole aperte (come ad es. in Trentino) in realtà le vendite di quotidiani sono cresciute.”
E il rapporto carta-web com’è andato?
“Beh, la fruizione delle notizie in digitale in questo periodo ha avuto un vero boom”, conferma Assante. “Il problema su quel versante è piuttosto che non ha ancora fatto breccia nelle abitudini degli italiani l’idea di acquistare l’abbonamento a un quotidiano online per leggerselo dove si vuole, sul computer, sul tablet o sullo smartphone: l’idea che ciò che si trova sul mezzo internet debba sempre essere disponibile gratis per tutti è dura a morire, con la conseguenza che migliaia di persone si limitano a leggere i titoli e gli occhielli degli articoli, o comunque solo la parte offerta gratuitamente, e si accontentano di quella rinunciando ad approfondire.”
E sostituendola se mai con una fricassea di pseudo-informazione ramazzata sui social network, in cui le vere notizie si mescolano a leggende metropolitane o ad autentiche bufale (talvolta confezionate ad arte), che diventano virali (e quindi “vere”) attraverso il tam-tam dei commenti di lettori che non sono in grado (o non sono interessati) a verificarle, immaginiamo…
“Naturalmente. E anche insieme agli pseudo-lanci d’agenzia personali a scopo propagandistico con cui ci mitragliano i demagoghi della politica come Trump, che hanno eletto un network come Twitter a propria agenzia di stampa ‘a comando’, dato che purtroppo i suoi lanci non passano attraverso il filtro di alcuna vera redazione giornalistica.”
Quindi il declino dei grandi quotidiani così come ancora li conosciamo è inesorabile?
“Nessuno di noi, per quanto immersi in questo sistema, ha la sfera di cristallo per prevedere il futuro. Però io – da osservatore di cose musicali – noto che la situazione è piuttosto simile a quanto accaduto anni fa nel settore discografico con l’avvento di Napster: la possibilità di fruire di contenuti musicali gratis – legali o meno che fossero – ha fatto precipitare a picco le vendite di dischi. Dopo il crollo, l’avvento di nuove piattaforme legali con un’offerta smisurata di musica per ogni gusto – come Spotify o Deezer – ha favorito una ripresa del settore su nuove basi. Ecco, io penso che una nuova generazione di utenti abituata a fare tutto attraverso lo smartphone possa rappresentare allo stesso modo una ripresa dei giornali sulle nuove piattaforme tecnologiche che tutti stiamo già sperimentando.”
Media online su cui peraltro la Repubblica è probabilmente la testata meglio piazzata oggi in Italia…
“Sì, siamo ancora il primo quotidiano nazionale per numero di lettori online e per ricavi provenienti dal web, anche se va detto che le tariffe pubblicitarie online sono più basse di quelle sulla carta, quindi recuperare quel che da oltre dieci anni si va perdendo in termini di fatturato pubblicitario sull’edizione cartacea rimane sempre ‘duro calle’.”
E qual è la strategia vincente in questo campo?
“Per essere davvero onesti non c’è, o almeno nessuno di noi l’ha ancora scoperta: la strategia è che si prova un po’ di tutto, si vede quello che funziona e lo si adotta: prima si sono fatti i classici banner, poi con lo strumento Taboola si accostano all’articolo online annunci pubblicitari identificabili da definizioni tipo ‘raccomandato per te’; ora stiamo provando dei larghi banner orizzontali interattivi o in movimento nella pagina. Oppure ancora, su Repubblica Plus (il servizio che permette di sfogliare la Repubblica, tutti gli allegati e le edizioni locali su tutti gli schermi digitali, NdR) si adotta la sponsorizzazione da parte di un unico brand per l’edizione giornaliera secondo la formula ‘oggi Repubblica+ è offerta da…’. Si sperimenta tutto e anche ciò che funziona spesso lo fa per un breve periodo di tempo e poi viene soppiantato da un altro strumento. Come dicevo, nessuno per ora ha scoperto la chiave che apre tutte le porte, a parte… ovvio, Google che, essendosi piazzato come IL motore di ricerca universale, dovunque piazzi un annuncio pubblicitario è certo che il suo target prima o poi passerà di lì per forza!”
“Secondo me – continua il giornalista – “al momento la prospettiva più promettente è quella del modello Netflix: un servizio acquistato dagli utenti in abbonamento con poca pubblicità ben mirata al suo interno. E, soprattutto per i prodotti consumer e trendy, il meccanismo degli influencer, che si portano in dote la propria schiera di fedeli seguaci che acquistano i prodotti consigliati dal proprio guru.”
I quali però spesso mescolano pericolosamente il lavoro di giornalista (ossia informare disinteressatamente il pubblico su una certa materia, sia essa la moda, un nuovo videogioco, un film o un telefonino) e quella di pubblicitario, che invece promuove un prodotto perché è pagato per farlo. È una commistione poco trasparente di recensione e ufficio stampa, che sconcerta un po’ anche noi, che il servizio di ufficio stampa lo offriamo con la LiquidSky Agency, ma che l’abbiamo sempre svolto in modo ben distinto dall’attività di recensione giornalistica svolta ad es. sul sito Posthuman. Tu, che per deontologia non citi nemmeno i tuoi libri sul tuo blog (Mediatrek, NdR), che ne pensi?
“Beh, che è sicuramente così: da questo punto di vista la frammentazione degli interlocutori in una galassia di blogger, youtuber e influencer non favorisce un corretto giornalismo e capisco che abbia un impatto anche nel complicare il lavoro dell’ufficio stampa. Del resto, è chiaro che siamo in mezzo al guado di una trasformazione epocale che investe tutti i media e le acque tempestose spesso sono torbide: non possiamo che attraversarlo e sperare di uscirne approdando sulle rive di un nuovo mondo, sperabilmente migliore di quello che ci saremo lasciati alle spalle. Ma finché non ci saremo arrivati…”
Mario G